Diagnosi

Diagnosi

È la fase fondamentale.
È necessaria una visita attenta e approfondita del paziente per acquisire tutti gli elementi utili e indispensabili per una diagnosi corretta ed una diagnosi corretta è alla base del buon operare.

La raccolta delle informazioni, da quelle anamnestiche (come sta il paziente, cosa e come si sente) a quelle obiettive (cosa si visualizza con la visita e l’esame obiettivo) a quelle strumentali (le radiografie, le impronte, le fotografie, la tac) è indispensabile per inquadrare il caso e capire, anche in ordine di priorità, quali sono i problemi più gravi o più urgenti da risolvere.

In medicina la maggior parte degli errori sono errori diagnostici, la prima causa degli errori diagnostici è la fretta.

Disordini Cranio Cervico Mandibolari rappresentano un quadro patologico complesso, la cui incidenza nella popolazione è oggi sempre maggiore.

Si tratta di un processo infiammatorio e/o degenerativo che interessa l’apparato stomatognatico (la bocca) ed in particolare i muscoli masticatori e l’articolazione temporo mandibolare (ATM) e che coinvolge in un quadro disfunzionale un ampio gruppo di strutture ad esso correlate: il cranio, il tratto cervicale della colonna vertebrale, l’apparato uditivo e dell’equilibrio, il sistema posturale, il sistema neuro mio fasciale.
Un’alterata posizione della mandibola rispetto al cranio, si accompagna al malfunzionamento della muscolatura masticatoria e dell’articolazione temporo mandibolare e spesso ad un’alterazione della postura del cranio, del tratto cervicale della colonna vertebrale e al malfunzionamento dei muscoli del collo e del tronco. Ciò provoca un quadro patologico complesso con sintomi muscolari, articolari, neurologici ed un coinvolgimento del sistema neurovegetativo.
A causa della stretta correlazione tra apparato masticatorio ed orecchio, la disfunzione della posizione mandibolare molto spesso coinvolge anche quest’organo, provocandone  la sofferenza e l’insorgenza di patologie di vario livello.

Le cause

Le cause dei DCCM sono multiple: il più delle volte è presente una predisposizione individuale dovuta a caratteristiche anatomiche e funzionali sulla quale  intervengono improvvisi fattori scatenanti come i traumi (ad esempio il colpo di frusta), le parafunzioni, (come serrare o digrignare i denti), lo stress  che determinano la comparsa dei sintomi.

I sintomi

La patologia si manifesta con sintomi vari talvolta apparentemente non correlabili tra loro e questo genera spesso confusione sia nel paziente che nel medico non specialista.
Tra i disturbi più frequenti: mal di testadolore a carico della muscolatura masticatoriadella mandiboladel collo (cervicalgie) e del bustomal d’orecchioalterazione dei movimenti mandibolarirumori a carico dell’articolazione temporomandibolare (ATM), disturbi nella masticazione e nella deglutizionebruxismopseudo-vertigini o instabilità posturalerumori nelle orecchie (acufeni), diminuzione dell’udito (ipoacusie).

Come curarsi

La diagnosi precoce ed il corretto e rapido intervento terapeutico riducono il rischio di cronicizzazione dei sintomi.
La presenza di più disfunzioni che interessano contemporaneamente differenti distretti corporei rende necessario un intervento diagnostico e terapeutico multidisciplinare nel quale più specialisti, coordinati in equipe, affrontano parallelamente tutte le problematiche cliniche conseguenti al DCCM allo scopo di ristabilire la salute dell’intero distretto cranio cervico mandibolare, riducendo i tempi di guarigione.

La carie può essere diagnosticata con facilità soprattutto quando coinvolge buona parte del tessuto dentale.

Anche solo con un veloce esame obiettivo si è in grado di far diagnosi di carie mentre le radiografie servono per capire la reale estensione dei processi cariosi.

Sia in rapporto alla polpa dentaria, per determinare la necessità o meno di devitalizzare un dente, sia in rapporto al parodonto, che deve sempre essere a contatto con tessuto dentale sano.

Le cose cambiano quando i processi cariosi sono di estensioni ridotte, dove solo un occhio attento ed esperto, magari munito di sistemi ingrandenti, riesce a cogliere quei segni di trasparenza dello smalto, di pigmentazione profonda caratteristici della carie e intercettarla così in fasi ancora precoci.

Questo vale per le superfici occlusali e cervicali del dente, per i solchi e i cingoli, ovvero per tutte quelle zone ispezionabili in maniera diretta mentre per le superfici interprossimali mesiali e distali, ovvero quelle superfici che normalmente fanno da contatto tra denti vicini, diventano di primario ausilio le radiografie bite wing, le uniche a rivelare carie nascoste ed altrimenti invisibili, coperte da smalto in parte ancora sano ed integro.

Negli ultimi anni la tecnologia ci ha fornito nuovi strumenti per diagnosticare le carie con precisione.

Il rivelatore a spettro posto in vicinanza della superficie cariata dà un valore numerico sulla densità del tessuto. Valori numerici alti indicano una perdita di consistenza importante del tessuto e quindi un’alta percentuale di tessuto cariato, valori numerici bassi indicano un tessuto dentale ancora duro e consistente.

La diagnosi di carie è estremamente importante dai 6 ai 16/18 anni, periodo in cui le radiografie bite wing vengono eseguite più frequentemente (anche una volta all’anno).

Successivamente i controlli devono comunque rimanere ogni 6/8 mesi o 10/12 mesi a seconda del livello di igiene orale, mentre il monitoraggio radiografico può assumere cadenza biennale o triennale a seconda dei casi.

Una corretta diagnosi di carie consente di intercettare precocemente le patologie e di monitorarle nel tempo se confinate nello smalto (decalcificazioni o carie dello smalto) oppure di intervenire con terapie conservative minimamente invasive e preservare l’integrità degli elementi.

Il costo di tali terapie è normalmente contenuto.

Se invece le carie vengono diagnosticate tardivamente e la sostanza dentale persa è consistente, le terapie richiedono spesso la devitalizzazione e la successiva protesizzazione (intarsi, corone) con forte perdita di integrità strutturale e robustezza degli elementi.

Il costo di questi interventi è decisamente più elevato.

La Periodontite

Quando all’interno del complesso sistema dei canali radicolari rimangono dei tessuti organici non più vitali, cioè non più irrorati da un sistema circolatorio sanguineo, si creano le condizioni per una colonizzazione batterica.

All’interno dei canali i batteri proliferano, a livello delle porte di uscita del sistema canalare (più frequentemente agli apici radicolari) il nostro sistema immunitario riconosce la presenza di microrganismi da debellare.

Le nostre difese si attivano per circoscrivere l’infezione e liberano in continuazione delle sostanze (cellule dell’infiammazione e granulociti) atte a circoscrivere il problema.

Se le nostre cellule immunitarie potessero entrare in contatto con i batteri probabilmente sarebbero in grado di eliminarli, ma i batteri sono all’interno dei canali e sono al sicuro, vengono identificati, ma non riescono ad essere aggrediti e debellati.

Si crea la condizione di un’infiammazione cronica (periodontite cronica), una sorta di continua parità tra due schieramenti avversi, normalmente priva di sintomatologia, nella maggior parte dei casi il paziente è completamente inconsapevole del continuo sforzo del suo sistema immunitario.

In talune situazioni però, o perché le difese immunitarie si indeboliscono o perché batteri e tossine riescono ad andare oltre il forame apicale, si crea la situazione di infiammazione acuta (periodontite acuta) con dolore alla pressione sull’elemento interessato e a volte anche con gonfiore della zona.

La diagnosi di periodontite cronica è spesso occasionale, in seguito a controlli che evidenziano la negatività dei test di vitalità ed in seguito a radiografie che mostrano delle lesioni periapicali (i cosiddetti granulomi) in cui all’apice del dente si vede un’ombra scura, una rarefazione ossea. Il continuo liberare enzimi e cellule dell’infiammazione intorno all’apice crea una lesione ossea, una sorta di riassorbimento osseo che può guarire solo con l’eliminazione dei batteri dai canali e quindi l’interruzione della reazione infiammatoria.

La diagnosi di periodontite acuta avviene in seguito al dolore che porta il Paziente a presentarsi in studio, un dolore esacerbato dalla masticazione che rende impossibile masticare da quella parte e che rende il dente facilmente riconoscibile con normali test alla pressione. Nei casi più gravi e conclamati e possibile avere gonfiore e tumefazione della zona con raccolte di liquido anche cospicue da drenare chirurgicamente. In alcuni casi il dolore scompare in seguito alla formazione di una fistola che drena all’esterno il pus e l’essudato prodotto dalla lesione. Un radiografia con un mezzo di contrasto all’interno del tragitto fistoloso porta all’individuazione dell’elemento responsabile.

La terapia consiste nell’eliminazione di batteri dall’interno dei canali radicolari, ovvero la terapia canalare: la detersione, la sagomatura e l’otturazione tridimensionale del sistema dei canali radicolari. I canali devono essere trattati per tutta la loro lunghezza, eliminando la possibilità che vengano lasciate zone in cui i batteri possano proliferare, tutti gli spazi devono essere sigillati per impedire successive e nuove colonizzazioni.

La diagnosi di malattia parodontale è estremamente importante, si perdono più denti per malattia parodontale che per carie.

La prima fase della malattia parodontale spesso è la gengivite, ovvero l’arrossamento della gengiva marginale con edema, ingrossamento gengivale e sanguinamento al sondaggio. Se diagnosticata e trattata può essere completamente reversibile.

La diagnosi viene fatta attraverso l’anamnesi (il paziente lamenta sanguinamento delle gengive) e con l’esame obiettivo, il dentista rileva rossore e gonfiore delle gengive e la conferma è data dal sanguinamento al sondaggio. Ovvero infilando delicatamente una sonda nei solchi gengivali questi sanguinano immediatamente.

Le parodontiti sono invece quelle patologie caratterizzate dalla distruzione dei tessuti di sostegno del dente e nella maggior parte dei casi sono irreversibili (cioè quello che è andato perso non si rigenera).

Le parodontiti sono caratterizzate dalla perdita di attacco e di osso, dalla formazione di tasche e in alcuni casi di recessioni.

La diagnosi viene fatta attraverso il sondaggio, l’esame clinico e quello radiografico.

Vi sono vari tipi di parodontite, da quella prepuberale, giovanile, ulcero necrotica, dell’adulto a quella refrattaria.

Spesso la malattia parodontale è asintomatica, non dà dolore. Gonfiori e ascessi si manifestano quando la situazione è ormai grave.

È determinante che la diagnosi sia accurata, la terapia iniziale immediata (rimozione del tartaro e igiene con sedute di curettage e levigature radicolari, se necessarie) la motivazione e l’informazione del paziente completa e monitorata e l’evoluzione deve essere costantemente controllata nel tempo.

Se trascurata o non diagnosticata la malattia parodontale può determinare la perdita degli elementi dentari anche in tempi estremamente rapidi.

La malattia parodontale causa oltre alla perdita dell’attacco anche la perdita dell’osso e compromettere, dopo la perdita dell’elemento dentario, anche la possibilità di inserire degli impianti.

Con il termine “pulpite” si identifica l’infiammazione irreversibile della polpa.

A seguito o di un trauma o di una carie particolarmente profonda o a seguito di infezioni provenienti dal parodonto, il dente interessato comincia a dare un forte dolore anche spontaneo, spesso pulsante, a volte esacerbato da stimoli termici, soprattutto con il caldo.

Il dolore inizia con un fastidio che con il passare del tempo si tramuta in dolore e diventa sempre più forte e aumenta in posizione sdraiata, a seguito dell’aumento della pressione endocranica.

A volte, nonostante il dolore possa essere di forte intensità, la localizzazione dell’elemento responsabile è confusa, il dolore s’irradia ad altri denti e ad altre zone. È estremamente importante che la diagnosi sia attenta e accurata. Non è insolito che il dolore riferito per esempio all’arcata superiore dipenda in realtà dall’arcata inferiore, così come spesso succede che vengano indicati denti posteriori mentre il problema risiede in un’altra zona.

Uno dei test più comuni per identificare l’elemento responsabile è il test al caldo: uno strumento apposito che emana calore viene selettivamente appoggiato agli elementi della zona sospetta, mentre i denti sani percepiscono il calore senza particolari disturbi, quello pulpitico scatena il dolore.

Naturalmente l’esame obiettivo e radiografico contribuiscono a determinare la diagnosi. In molti casi la pulpite è data da una carie estesa che coinvolge la polpa ed è quindi visibile clinicamente o radiograficamente.

Naturalmente la diagnosi è tanto più semplice tanto più la restante dentatura è in ordine, se ci si ritrova con molti elementi cariati, trascurati o fratturati il quadro può risultare meno chiaro ed immediato. La possibilità di intervenire su di un elemento bisognoso di cure, ma non responsabile del dolore esiste e la remissione dei sintomi può quindi non avvenire.

La pulpite è un’evenienza estremamente dolorosa che spesso costringe ad una notte insonne, è possibile evitarla con un adeguato mantenimento e controllo.

Non dimentichiamo che la terapia della pulpite è la terapia canalare, ovvero la devitalizzazione, un elemento devitalizzato è un elemento più debole e fragile che necessità di apposite ricostruzioni adeguate che mai comunque conferiscono una completa “restitutio ad integrum”.

Se la pulpite non viene trattata la polpa può andare in necrosi ed il dolore cessa. La scomparsa del dolore non equivale però alla soluzione del problema. Il tessuto necrotico viene contaminato dai batteri e nel tempo determina una infiammazione cronica dei tessuti periapicali che, in modo del tutto imprevedibile, si riacutizza e determina un ascesso, con nuovi dolori e nuova sintomatologia.